un articolo di Paola Emilia Cicerone che leggo su Il Fatto Alimentare
È stagione di bibite e le aziende colgono l’opportunità per lanciare – o rilanciare – bevande dalle proprietà energetiche e/o salutiste cercando di attribuire qualità miracolose o riconoscimenti non confermati.
iShot è un energy drink proposto in una bottiglietta minuscola (60 ml) che ricorda forse gli “sciottini” di alcolici con cui il sito dell’azienda suggerisce di consumarlo (pratica ritenuta pericolosa da molti esperti).
Secondo i produttori si tratta di “una miscela unica energizzante composta da Vitamine B, Aminoacidi, Antiossidanti, Ginseng Siberiano, Tè Verde, L-Carnitina, Guaranà e Caffeina”, con un contenuto di caffeina di 120 mg (una tazza di caffè ne contiene circa 85 mg).
Il peggio è che iShot è presentato come “il primo energy drink a ricevere l’autorizzazione dal Ministero della salute”.
La cosa ci ha stupito, visto che questi prodotti sono in genere classificati come integratori o alimenti e non necessitano di apposite autorizzazioni, e abbiamo chiesto chiarimenti al Ministero.
La risposta della Direzione Generale per l’Igiene degli Alimenti e della Nutrizione è stata che, in ambito comunitario, “Gli Energy drink presentati in unità di consumo come lattine o contenitori da 60 ml sono commercializzati usualmente (…) come integratori alimentari, mentre gli Energy drink in lattine da 250 ml o di volume superiore sono commercializzati come alimenti”.
iShot sarebbe quindi un integratore e in quanto tale non sottoposto ad autorizzazione ma ad una semplice procedura di notifica.
“Appare evidente che rivendicare l’ottenimento di una “autorizzazione ministeriale” nel caso di un prodotto “notificato” è una modalità di comunicazione ingannevole nei confronti del consumatore”, prosegue la nota della Direzione Generale, che ci ha comunicato di essersi attivata per far eliminare dal sito di iShot tali affermazioni.
“Ulteriormente ingannevole è poi, – prosegue la nota, – la correlazione proposta tra tale presunta autorizzazione e caratteristiche di “qualità”, che devono essere comuni a tutti i prodotti presenti sul mercato, e addirittura di “genuinità”, di cui non si comprende il significato data la natura del prodotto”
